Il tratto tra la capitale del Nord e il celebre monte Kirkjufell, tra imprevisti, squali putrefatti e una nuova tempesta.
La giornata inizia sotto una debole pioggia ad Akureyri. Come vi ho detto, è la seconda città più grande d’Islanda, e viene spesso definita come “la capitale del Nord”. L’equivalente della nostra Milano, con la piccola differenza che ha appena 18.000 abitanti.
La città non offre molto da vedere, se non una via pedonale con qualche negozio di souvenir, qualche edificio un po’ particolare, e una cattedrale che non è esattamente tra le più belle che abbia mai visto, diciamo.
La temperatura si è decisamente alzata, il termometro tocca 5 gradi, e le strade invece di essere bianche come nei giorni precedenti si sporcano del fango tipico della neve che si scioglie in città. Ci mettiamo in marcia verso Ovest, attraversando le belle vallate del nord dell’Islanda, in direzione di Varmahlid. Sono luoghi che d’estate si prestano al piacere della guida lungo ampi fiordi che si affacciano sul mare, e ad attività come il rafting, ma nulla di tutto ciò è pensabile in questa stagione e con questo tempo, quindi seguiamo semplicemente la Hringvegur, che finalmente dopo giorni di asfalto ghiacciato torna ad avere un aspetto normale, concedendoci di spingere leggermente di più sull’acceleratore, cosa che però non sembra trovare il consenso della polizia del posto: una pattuglia ci ferma e ci ricorda a caro prezzo un concetto spesso estraneo agli Italiani, ovvero i limiti di velocità. Anche questa, a modo suo, è stata un’esperienza particolare, quelle storie che lipperlì ti fanno girare le scatole, ma che poi a distanza di anni racconti con un sorriso.
Col senno di poi, questo episodio pare che questo episodio abbia segnato un cambio della sorte del nostro viaggio. Lungo il nostro tragitto per Grundarfjordur ci imbattiamo nuovamente in una grande tempesta, sotto la quale attraversiamo i campi di lava della penisola Snaefellsness, senza ovviamente vedere nulla al di là del nostro naso. Persino la GoPro posta sul tettuccio della macchina si ricopre di ghiaccio.
Nonostante la visibilità zero riusciamo a raggiungere una famosissima fattoria del posto, nota per essere uno dei principali produttori di “Hakarl” , uno dei cibi tradizionali e tipici islandesi. In poche parole, carne di squalo putrefatta.
Non che sia troppo invitante sentirne parlare così. Ma durante la visita al museo, che il gestore della fattoria apre apposta per noi, scopriamo la storia che sta dietro questo alimento e il lugo processo che sta alla base della sua preparazione.
In sostanza, la carne di squalo, se mangiata fresca, è tossica, perché gli squali non hanno reni, e urinano attraverso la pelle, rendendo quindi la propria carne piena di ammoniaca. In passato agli islandesi però dava fastidio sprecare quantitativi così grandi di carne, così hanno scoperto il seguente procedimento per renderla commestibile.
- si taglia la carne a pezzettini giganti e la si mette in grandi casse metalliche bucate ai lati che vengono messe sotto terra ricoperte di pietre per circa uno o due mesi. In questo modo la carne perde tutta l’ammoniaca.
- dopodichè si appendono i pezzettoni di carne ad essiccare all’aria aperta per altre settimane, finché si forma una specie di crosta marroncina.
- si toglie la crosta, e si taglia la carna a pezzetti, e si mangia cruda.
In poche parole, sushi di squalo. Alla fine della visita del museo, ci offrono un assaggino, dapprima accompagnato da un pezzo di pane, poi da solo. E se proprio volete saperlo, sì, fa schifo. si potrebbe definire questa carne come “amuchina solida”, o come una specie di gorgonzola più consistente dal retrogusto di ammoniaca. Si vocifera che lo chef Gordon Ramsay abbia vomitato dopo averla assaggiata. Eppure gli Islandesi lo trovano squisito….valli a capire.
Ci dirigiamo quindi verso Grundarfjordur, villaggio posto alle pendici di una delle montagne più fotografate d’Islanda, il Kirkjufell, chiamato così perché si dice assomigli a una chiesa. A noi sembra più una pinna di squalo, ma in realtà ne distinguiamo a malapena la sagoma per via della tempesta di neve, così ci ritiriamo nei nostri appartamenti per la nottata.
Al risveglio incrociamo alcuni fotografi italiani appena arrivati in Islanda con cui avevamo fatto amicizia la sera prima, che ci dicono di essere stati svegli tutta la notte e di aver visto, in un breve momento di cielo sereno, una debole aurora boreale danzare sopra il Kitkjufell, ma nulla di eclatante. Uno di loro è un frequentatore del popolarissimo Juza Forum, dove il mio video del viaggio a capo Nord, a suo tempo, aveva spopolato. Infatti mi riconosce, ed entrambi ridiamo di quanto possa essere piccolo il mondo. Se poi penso a Simone, il ragazzo che mi ha riconosciuto tra gli iceberg di Jokulsarlòn, allora mi rendo conto che forse il mio impegno e la mia passione stanno acendo più strada di quella che mi immagino lavorando dietro a un computer per produrre storie e immagini di mondo. Sono piccoli episodi di per sè insignificanti, ma che danno grande forza.
Al mattino riusciamo appena in tempo a scattare qualche foto al Kirkjufell, prima che si scateni nuovamente la tempesta, questa volta con tanto di grandine.
Il meteo ci impedisce di seguire il programma della giornata, ovvero percorrere il perimetro della penisola Snaefellsness, fino alle pendici del ghiacciaio e vulcano Snaefelssjokull, un luogo spettacolare e affascinante, noto in letteratura per essere stato scelto da Jules Verne come punto di partenza per il suo celebre “Viaggio al Centro della Terra”.
Purtroppo devo accontentarmi dei ricordi estivi di questo luogo, delle foche che si possono trovare sulla costa meridionale della penisola nei pressi di Ytri Tunga, e dei vasti campi di lava alternati da colonne basaltiche, sorgenti naturali di acqua frizzante, e resti di vecchie fattorie bruciate durante precedenti eruzioni vulcaniche.
Non possiamo vedere nulla di tutto questo, vediamo solo nebbia, neve, vento e grandine.
In queste condizioni, rientriamo e Reykjavìk, per passare il pomeriggio nella capitale, prima di prendere il volo che avrebbe segnato la fine del nostro splendido viaggio.