I dintorni del lago più famoso d’Islanda, tra vulcani, solfatare, foreste di lava, e cascate.
Al nostro risveglio, troviamo una giornata meravigliosa, senza l’ombra di una nuvola. Una giornata così bella, dopo le tempeste del giorno precedente, ha però il suo prezzo, e quindi lo splendore del sole si accompagna al vento che spazza violentemente i dintorni del Lago Myvatn.
Poco dopo aver lasciato il nostro cottage, ci fermiamo nei pressi di uno dei tanti recinti per cavalli che si trovano praticamente ovunque lungo le strade Islandesi.
I cavalli Islandesi sono una razza ben definita e unica al mondo, le cui peculiarità sono state favorite dall’isolamento geografico dell’isola, e che al giorno d’oggi viene preservata attraverso una politica molto rigida, che oltre a impedire l’ingresso di cavalli stranieri, impedisce anche a un cavallo portato all’estero per un qualunque motivo di rientrare in islanda, al fine di non contaminare la razza.
Si tratta di animali dall’aspetto incantevole, estremamente docili e fiduciosi grazie anche alla totale assenza di predatori sul suolo Islandese. Si potrebbe forse dire che sono animali che non conoscono la paura, ma nessuno può dirlo con certezza. Spesso hanno la criniera bionda, e possono essere bianchi, grigi, neri o marroni; al nostro avvicinarsi si mostrano curiosi e affettuosi nei nostri confronti, ci circondano e si prendono volentieri tutte le nostre coccole, mangiando la neve direttamente dai nostri guanti. Sono momenti meravigliosi, essere a contatto con la natura, in questo caso con le sue creature, ha sempre un che di terapeutico.
Come vi dicevo nel precedente articolo, il lago Myvatn è destinazione assai popolare durante l’estate. Non è insolito fermarsi addirittura 2 giorni per esplorare pienamente le diverse attrazioni naturalistiche della regione. Questo lago, per quanto di aspetto pacifico e rilassante, è un po’ come una pozza d’acqua inserita all’inferno: il lago è infatti circondato su tutto il suo perimetro da un’area vulcanica attiva, che si manifesta in moltissime forme. Si può dire in sintesi che il paesaggio intorno al lago Myvatn è un vero e proprio breviario di geologia e vulcanologia.
D’inverno la situazione è però molto diversa. Diversi luoghi tipici non sono visitabili in quanto le strade che ci arrivano sono coperte di neve e non vengono in alcun modo pulite. E’ il caso di Dettifoss, la cascata più potente d’Europa, che sta a pochi Km dal lago, ma che non possiamo raggiungere per via della neve.
Stessa sorte tocca all’area vulcanica di Krafla, un vulcano che agli inizi degli anni ’80 produsse un’enorme colata lavica ricoprendo la pianura circostante. Sarebbe bello vedere Viti (in lingua Islandese “inferno”), ovvero il suo cratere oggi riempito da un lago celeste, e l’enorme distesa di magma circondata da fumarole, ma la strada si interrompe all’altezza della grande centrale geotermica costruita negli anni’70.
E’ tuttavia possibile visitare l’area geotermica di Hverìr, a lato della Hringvegur e ai piedi del monde Namafjall.
Si passeggia tra pozze di fango bollenti, e soffioni di vapore dall’odore sulfureo, il tutto su un terreno dove la neve si scioglie e diventa fango per via del calore del suolo. In Islanda è sempre sconsigliabile uscire dai percorsi guidati, quando si visitano queste aree, dato che in alcuni punti la crosta terreste è sufficientemente sottile, e quindi calda, da sciogliere le suole delle scarpe (così almeno si dice).
Lungo il lato orientale del lago Myvatn si erge poi l’enorme sagoma del vulcano “Hverfjall”. Di tutti i vulcani d’Islanda, Hverfjall è forse quello che più corrisponde all’immagine che tutti noi abbiamo in testa quando pensiamo a un vulcano, ovvero un monte scappucciato con un buco in centro.
Al giorno d’oggi è ormai inattivo, ma la presenza di un vasto campo di lava nera alle sue pendici ne testimonia un passato sicuramente turbolento. A poche centinaia di metri da qui si trova forse il più grande spettacolo lavico di tutta l’Islanda, ovvero Dimmu Borgir.
Dimmu Borgir significa “foresta oscura”, ed è un campo di lava molto esteso, dove il magma. solidificandosi, ha preso forme bizzarre, la cui origine geologica è tutt’ora controversa. E’ un luogo surreale, dove la vegetazione che cresce grazie alla fertilità dei terreni lavici si alterna alle granitiche formazioni di roccia nera, le cui forme sono oggetto delle interpretazioni più fantasiose.
La strada che costeggia il lago Myvatn regala scenari incredibili, favoriti dalla splendida giornata: l’ultima attrazione in cui ci imbattiamo sono i cosiddetti “pseudo-crateri”, ovvero delle piccole collinette che spuntano dalle acque del lago e che hanno tutta l’aria di essere dei mini-vulcani, ma che vulcani non sono: si tratta piuttosto di formazioni date dalla lava raffreddatasi troppo velocemente dopo il contatto con l’acqua, dove l’esplosione di grandi bolle d’aria interne al magma ha creato il buco che oggi hai nostri occhi ha l’aspetto di un cratere, ma che cratere non è.
A questo punto ci dirigiamo verso Akureyri, sotto un vento sempre più insistente, che nei punti in cui la strada scollina fa quasi paura, ed è in queste condizioni che ci concediamo la sosta obbligata per vedere una delle cascate più celebri d’Islanda, anche lei a pochi passi dalla Hringvegur, ovvero Godafoss, la cascata degli dei. La cascata si raggiunge con brevissimo sentiero, ma percorrerlo con un vento così forte che ci soffia contro rappresenta uno forzo fisico sorprendentemente alto: dopo appena 200 metri, giunti sul bordo della gola su cui si getta la cascata, siamo esausti. E’ molto difficile capire la reale intensità che può avere il vento in Islanda se non la si conosce direttamente…immaginate di gettarvi a peso morto controvento e di rendervi conto che la forza dell’aria è sufficiente a impedirvi di cadere.
Il nome “Godafoss” ha un’origine dubbia, c’è chi sostiene che fosse in uso in tempi antichissimi; la cascata si compone di 3 salti distinti, e in teoria ognuno di essi sarebbe dedicato a un’elemento della sacra trinità nordica, ovvero Thor, Odino e Freya. La versione più accreditata vuole però che il nome derivi dal fatto che al momento della conversione dell’Islanda al cristianesimo, vennero gettate nelle acque della cascata le immagini delle antiche divinità pagane, come gesto simbolico.
Dopo quest’ultima visita ci dirigiamo verso Akureyri, la più grande città d’Islanda dopo Reykjavik, e che nonostante questo conta appena 18.000 abitanti, il che la dice lunga sulla densità di popolazione dell’isola.
Ad Akureyri consumiamo l’unica cena “in ristorante” di tutto il viaggio…perchè una volta tanto bisogna pur concederselo. A proposito, se vi capitasse, vi consiglio di prendere l’agnello, in Islanda. E’ veramente squisito, forse il migliore che mi sia mai capitato.
Ci alziamo presto da tavola per puntare fuori città, visto che, incredibilmente, le previsioni sono ancora buone, e ci sono ottime chances di vedere la sesta aurora boreale consecutiva…ma la nostra sconcertante fortuna sembra essersi esaurita, e per la prima volta dal nostro arrivo, ci addormentiamo senza la buonanotte della regina delle notti artiche.
Resta il ricordo di una giornata baciata costantemente dal sole, immersi in un paesaggio costantemente alternato tra ghiaccio e fuoco, neve e vapore, paradiso e inferno…insomma i violenti contrasti che sono alla base del fascino eterno dell’Islanda.