La tappa sul lago più grande del mondo, tra fumo, natura, sciamanesimo e villaggi dove il tempo si è fermato
Il nostro viaggio da Krasnoyarsk verso Irkutsk durerà circa 18 ore, una passeggiata. Ormai i treni russi non hanno più segreti, padroneggiamo i meccanismi di sopravvivenza e di vita al di sopra di essi. Quello che è ogni volta nuovo, ogni volta un’incognita, sono le persone che condivideranno con noi lo scompartimento, e avremmo presto scoperto che questo tragitto ci avrebbe riservato qualcosa di davvero particolare.
Sale sul treno una signora di mezza età, accompagnata dalla famiglia che la aiuta a caricare un quintale di bagagli, contenenti per lo più cibo, in particolare mirtilli. Un secchio pieno di mirtilli. Inizia a parlarci in Russo, come tutte le persone che ci incontrano, e dopo i primi convenevoli che riesco ad affrontare col mio Russo sgangherato, si arriva presto alla frase “ya niè panimayu”, ovvero non capisco. A quel punto la maggior parte dei passeggeri tenta per qualche minuto la via della comunicazione a gesti, poi sorride, e tace.
Larissa, la donna in questione, NO. Continua a parlare in russo non curante del fatto che non capiamo niente. Con una fatica incredibile riusciamo a capire che stava parlando del Lago Baikal, dice che l’acqua e fredda e che ci si va in traghetto. Peccato che in russo io non sappia dire “eggrazziealcxxxo”. Poco dopo sparisce, non si sa dove, io e Andrea decidiamo di lanciarci nel passatempo Russo per eccellenza: gli scacchi. La prima la vinco io, la seconda la vince lui. E’ il momento della bella. La concentrazione è altissima, la partita lunga, tesa, mosse pensate per minuti e minuti. La partita si mette bene per me, Andrea arranca. La mia strategia sta per portarmi al trionfo supremo scacchistico sulla transiberiana, è un grande momento.
E poi arriva lei, Larissa, piena di alcool fino alle orecchie, e riattacca a parlare in russo di chissà cosa. Tra le poche cose che capisco, mi da del cretino. Chiamiamo in soccorso la responsabile di carrozza, nella speranza almeno di avere un interprete, e di capire di che cosa diavolo stava parlando. Ma la ragazza in questione non parla una parola di inglese. Ci troviamo in una situazione paradossale dove conduciamo conversazioni che viaggiano su binari paralleli che non si incontreranno mai, come quelli della ferrovia. Loro in russo, e a sto punto noi in Italiano. Sarebbe stata una scena da filmare. E infatti l’ho filmata 🙂
A un certo punto Larissa, senza alcun motivo, mi regala una chiavetta USB. Scopro il giorno dopo che all’interno ci sono un sacco di foto della sua famiglia, e ancora adesso mi rimane il dubbio se me l’abbia regalata per un gesto di estrema fraternità o se forse non si ricorda di avermela data, visto che in quel momento era abbastanza brilla.
Al mattino arriviamo a Irkutsk in tempo utilissimo per salire sul pullman diretto all’Isola di Olkhon, sul Lago Baikal. Il viaggio dura 6 ore, tra asfalto, sterrato, traghetto, e ancora sterrato, ma di quelli pesanti. L’autista, in sintesi, un pazzo. Il pullman è un continuo tremolio, rimbalzo, vibrazione. Con noi viaggiano solo Russi, nessuno dice una parola. Sembra che stiano andando in prigione, non in vacanza. Il viaggio è dei più pesanti che abbia mai fatto. 6 ore su quel pullman sono molto peggio di 3 giorni su un treno, non c’è alcun dubbio su questo…..ma in un modo o nell’altro arriviamo a Khuzhir, il più grande centro abitato dell’isola di Olkhon. Fin dal mattino siamo circondati da una foschia che oscura tutto il panorama all’orizzonte. Pensiamo sia umidità, scopriamo che in realtà è fumo, proveniente da incendi nelle foreste siberiane a ovest del lago.
Scopriamo che che questa situazione dura da fine luglio. Khuzhir è una città senza strade asfaltate, con case di legno, in parte fatiscenti, tetti in lamiera, e nelle cui strade circolano veicoli vecchissimi, le vecchie Trabant sovietiche o pulmini di stampo anni 60, compresi quelli della Polizia. In queste condizioni meteo, il paese sembra essere uscito da un’apocalisse nucleare.
Il sole è oscurato dalla foschia. In giro non si vede quasi nessuno, i pochi locali che ci sono sembrano i saloon del Far West, e addirittura un bar dove passiamo qualche ora, per chiudere deve inchiodare la porta.
E’ un posto fuori dal mondo, persino il nostro ostello, sulla carta la migliore sistemazione dell’ Isola, si rivela una topaia. Nel senso che abbiamo effettivamente un topo in stanza, e il lavandino di un bagno comune che non funziona. L’indomani decidiamo di affittare una bici per pedalare un po’ nell’isola, ma si rivela una scelta a dir poco fallimentare.
Le strade sono dissestate, spesso sabbiose, la bici continua a darci dei colpi, e spesso si blocca nella sabbia. Ah già, le bici. Una col sellino più scomodo mai visto, una col cambio rotto (Andrea sposta manualmente la catena quando ci sono le salite), entrambe con il freno posteriore che tocca la ruota. Una bellezza.
In queste condizioni facciamo circa 20 km che penso equivalgano tranquillamente a 40-50 km fatti con un mezzo in condizioni normali e su strade definibili tali. In questo lasso di tempo scopriamo alcuni scorci interessanti, ma ahimè sbiaditi da questa fitta foschia, che non accenna ad allontanarsi.
Ci riposiamo su una spiaggia dove mettiamo finalmente i piedi nel lago. L’acqua è a dir poco gelida, è per me un grande mistero come i Russi ci facciano disinvoltamente il bagno. Ciononostante, il lago Baikal è un posto davvero affascinante. E’ un lago immenso, il più grande del mondo, profondo fino 1600 metri e contenente un quinto di tutta l’acqua dolce del mondo. Sembra un mare, complice la foschia, non è possibile distinguere l’altra sponda, si vede acqua a perdita d’occhio. Acqua che oltre a essere limpidissima, viene anche regolarmente bevuta dagli abitanti del posto, in quanto particolarmente pulita….e così decidiamo di assaggiarne due gocce. Quelle cose che si fanno per poi dire “ho bevuto l’acqua del Baikal”…visto che di fare il bagno non se ne parla neanche. Rientrando a Khujir, la foschia si fa più intensa, il vento sta iniziando a tirare nella direzione sbagliata. Non ci è possibile vedere il tramonto, il sole viene oscurato e l’aria inizia ad avere un profumo vagamente affumicato.Da lontano, la città ha ancora un aspetto davvero selvaggio. E’ un misto di Africa e Nord Europa, la presenza dei turisti stona con gli abitanti del posto, gente dalla pelle consumata, raggrinzita, il viso schiacciato e gli occhi che iniziano a tendere verso la tipica forma a mandorla dell’ est dell’Asia.
Per le strade di Khuzhir passano ora un pulmino fatiscente, ora un gruppo di mucche, ora dei turisti cinesi, ora due italiani con due biciclette sgangherate: noi.
Di notte non si vede una stella, la città sembra invasa dai fantasmi. E’ un posto che mi trasmette una certa inquietudine, e in sincerità non sono dispiaciuto all’idea di andarmene. E dire che normalmente io sono estremamente attirato dai luoghi ai confini del mondo, villaggi solitari, e cose così. Ma qui si respira un’aria pesante, e non c’entra molto il fumo degli incendi.
L’isola di Olkhon, è ritenuta dagli sciamani locali uno dei luoghi con l’energia più forte al mondo, chissà, forse la mia sensazione di disagio può avere a che fare con questo, difficile dirlo. In relazione alla sacralità del luogo, sull’isola di Olkhon non è raro vedere pali su cui sono annodati diversi nastri colorati. E’ un’usanza sciamanica riservata ai luoghi sacri, di questo vedremo ampie testimonianze in Mongolia, che in effetti non dista molto da qui.
La mattina seguente rientriamo verso Irkutsk ancora una volta con le 6 ore di viaggio alla speranza sul pulmino dei disperati, ma stavolta va ben peggio dell’andata: il pullman non ha finestrini, ha i vetri oscurati, e non un filo di aria condizionata: una fornace. Arriviamo a Irkutsk stremati, con poche energie residue per fare un giro alla scoperta della città che è nota come la “Parigi della Siberia”. In effetti Irkutsk ha un sapore decisamente europeo, nulla a che vedere, ad esempio, con Mosca o Krasnoyarsk. E’ una città gradevolissima, ci sono bei palazzi, bellissime chiese, un lungofiume intriso di pace, una bella fontana e tante aiuole fiorite. Sotto certi aspetti, mi sembra davvero di essere tornato indietro di moltissimi kilometri.
A ricordaci di essere in Russia, ancora una volta, è la guerra. Con i Russi si parla sempre di guerra. La piazza con il classico monumento ai caduti è tappezzata di cartelloni con le foto dei veterani della guerra provenienti da Irkutsk, con lo stemma rappresentante il 70° anniversario dalla vittoria della guerra che abbiamo visto a Mosca, e che ci ha accompagnato lungo tutto il paese. Mi accorgo che qui la seconda guerra mondiale, non si chiama “seconda guerra mondiale”, bensì “Guerra Patriottica”. E’ un qualcosa che mi fa riflettere, sembra che i russi abbiano una percezione molto diversa di quel periodo storico rispetto al resto d’Europa. In Italia, Francia, Inghilterra, Germania, per non parlare della povera Polonia, tutto ciò che ruota intorno ai primi anni 40 è accompagnato da un velo di tristezza, e da un grande monito ai posteri perché certe atrocità non si ripetano più. E’ un qualcosa che ha traumatizzato un continente intero, persino i vincitori.
Qui no. Qui si esaltano. E in effetti riesco anche a capire il perché, insomma, mettetevi nei panni di un Russo. Durante la vostra tranquilla vita quotidiana, un esercito che aveva promesso di non aggredirvi, tradisce gli accordi e vi entra in casa intenzionato a conquistare il vostro paese, la Grande Madre Russia. Il vostro esercito, senza l’aiuto di nessun super-esercito d’oltreoceano gli da una bastonata tale non solo da scacciarli, ma addirittura di andargli a prendere mezza Berlino per i 50 anni successivi. In apparenza, proprio come avevano già fatto i vostri trisnonni con Napoleone. Vi credete invincibili, credete che nessuno possa sconfiggere i Russi a casa loro. Se ci pensate bene….alla fine è normale che uno stato con uno spirito guerriero come è la Russia tenda a glorificare e festeggiare un evento di questo tipo.
E’ questo l’ultimo ricordo che mi lascerò alle spalle della Russia. Un paese consapevole della sua forza, che festeggia la propria invulnerabilità nei secoli.
Eppure ci fu, un tempo, una persona, e un popolo, in grado di sconfiggere i Russi, e non solo. In grado di dare vita a uno degli imperi più grandi della storia dell’umanità. Veniva da sud, non troppo lontano dal Lago Baikal.
Il suo nome era Temujin, passato alla storia come Gengis Khan. Ed è proprio a casa sua che ci stiamo recando: si parte per la Mongolia.