Prosegue il giro d’Islanda in Inverno. Diario della giornata più bella non solo di questo viaggio, ma forse di tutti i miei viaggi, e probabilmente tra i giorni più belli di tutta la mia vita. Jokulsarlòn, Vatnajökull e Höfn.
Il viaggio fino a questo momento ci ha regalato emozioni incredibili, già di per sé sufficienti a renderlo un viaggio memorabile. Quello che però sto per provare a raccontarvi va oltre tutto questo. State per leggere il racconto di una delle giornata più belle di tutta la mia vita di viaggiatore, se non della mia vita in generale.
E’ stato un crescendo. In mattinata guidiamo verso Höfn, cittadina portuale del sud est dell’Islanda. Lungo la strada i paesaggi sono mozzafiato. La neve lascia spazio a prati intrisi di colori autunnali che si scontrano contro le severe montagne all’orizzonte, nelle cui vallate scivolano le propaggini del Vatnajökull.
Alessio è talmente felice che corre come un bambino nei campi e si lascia cadere di tasca un oggetto di poco conto: giusto un Iphone. Per sua fortuna la suoneria era ancora attiva e riusciamo a recuperarlo, diversamente il suo ricordo di questa giornata non sarebbe stato all’altezza di ciò che stavamo per vivere. La strada costeggia alcuni fiordi e non di rado passa accanto a gruppi di cavalli di pura razza islandese, scena, a dire il vero, piuttosto comune lungo la Hringvegur, specialmente al nord…ma di questo parleremo nei prossimi giorni.
Höfn è il primo centro abitato degno di questo nome che si incontra dopo Vìk. E’ il luogo ideale per fare provviste e per ammirare da lontano montagne affascinanti come il Vestrahorn, e rami del Vatnajokull.
Tuttavia non ci accontentiamo di vederli da lontano. Imbocchiamo una pista sterrata che ci porta fino a ridosso di una di queste propaggini di ghiaccio blu intenso. Camminiamo un bel po’ sotto il vento intenso canalizzato dalla depressione su cui giace questo enorme muro azzurro che ci si para davanti. Camminiamo su un terreno irregolare e instabile fatto di pozze d’acqua ghiacciate, terra e fango, fino a raggiungere una di queste lingue di ghiaccio, su cui saliamo per qualche metro, prima di fermarci per via dell’eccessivo pericolo…a quel punto basterebbe un piede messo male per crearci qualche problema di troppo.
Trovarsi ai piedi di un ghiacciaio così enorme, sapendo peraltro che non è che una piccola parte della sua reale estensione, ti fa sentire davvero minuscolo. Ed è bellissimo. L’Islanda ti insegna questo: che tu, uomo, sei minuscolo, e che questa cosa è comunque un bene per te e per tutto l’universo che ti circonda.
Con l’avvicinarsi del tramonto ritorniamo verso Jokulsarlòn. Il cielo è sereno sopra di noi, e la luce dorata del tardo pomeriggio si riflette sugli Iceberg della laguna, scintillando qua e là, in un silenzio interrotto solo dalla voce di qualche turista e dal rumore delle foche che si tuffano in acqua.
E’ in questo momento che mi sento chiamare da una voce sconosciuta “Tu sei Stefano?”, mi giro e vedo un ragazzo armato di reflex che mi saluta. E’ Simone, un ragazzo amante del nord e dei viaggi come me (clicca qui per vedere il suo blog), che mi ha riconosciuto dai miei precedenti video…Ancora non riesco a crederci, essere riconosciuto da qualcuno in Islanda. Per un attimo mi sono sentito Pif.
Decidiamo di goderci le ultime luci del giorno dall’altro lato della laguna glaciale, ovvero sulla spiaggia che si affaccia sul mare. Trattasi di un posto più unico che raro al mondo. Gli iceberg che fluttuano nella laguna, di tanto in tanto prendono la via del piccolo estuario che collega la laguna al mare, e una volta in balia delle onde, vengono disgregati e riportati a riva. Lo scenario che si presenta ai nostri occhi, è quindi quello di un’immensa spiaggia nera costellata di massi di ghiaccio, sui quali scintillano i raggi del sole.
Decidiamo di goderci le ultime luci del giorno dall’altro lato della laguna glaciale, ovvero sulla spiaggia che si affaccia sul mare. Trattasi di un posto più unico che raro al mondo. Gli iceberg che fluttuano nella laguna, di tanto in tanto prendono la via del piccolo estuario che collega la laguna al mare, e una volta in balia delle onde, vengono disgregati e riportati a riva. Lo scenario che si presenta ai nostri occhi, è quindi quello di un’immensa spiaggia nera costellata di massi di ghiaccio, sui quali scintillano i raggi del sole.
A quel punto lo scintillio del ghiaccio lascia spazio alla sua naturale vitrea trasparenza su cui si riflettono i colori del cielo durante il crepuscolo, quest’oggi più affascinanti che mai. Decidiamo quindi di ritornare in riva alla laguna, di fronte agli iceberg più grandi, e di goderci i colori del cielo da lì. D’un tratto il cielo si incendia di un colore indefinito, che tende una mano al rosso, al rosa e all’arancione nello stesso tempo, e che si specchia nelle acque della laguna.
Non posso descrivervi con esattezza le emozioni di un momento così. Ci sono cose che tutto sommato è meglio che tenga per me, e le persone con cui ho condiviso quell’istante. Posso però dire di aver sinceramente pensato di voler ringraziare l’universo per la concessione di uno spettacolo di tale magnificenza. Questi sono i momenti per cui amo così tanto viaggiare ed immergermi nella natura. Ogni volta penso alle parole della poesia di Lord Byron
C’è una gioia nei boschi inesplorati,
C’è un’estasi sulla spiaggia solitaria,
C’è vita dove nessuno arriva vicino al mare profondo,
e c’è musica nel suo boato.
Io non amo l’uomo di meno, ma la Natura di più.
Non saprei descrivere meglio quel momento: l’estasi di una spiaggia solitaria, la vita dove nessuno arriva.
Già questo di per sè sarebbe sufficiente a dare alla giornata un voto di eccellenza, ma era appena il tardo pomeriggio, e la notte aveva ancora la sua da dire. E non sarebbe stata poca cosa, perché nelle terre artiche, la notte invernale, ricordatevelo, ha SEMPRE l’ultima parola.
Decide lei.
E così quella notte, sotto un chiaro di luna tale da illuminare a giorno il paesaggio, siamo tornati sulle rive di Jokulsarlòn, in attesa che si presentasse Sua Maestà l’Aurora Boreale, e che il mio sogno di scattare una fotografia dell’aurora sopra gli iceberg diventasse realtà.
Prendiamo posizione con i nostri treppiedi in mezzo a una lunga fila di fotografi che condividevano le mie ambizioni e le mie speranze. L’aurora si muoveva delicata sopra le nostre teste, con i suoi meravigliosi fasci verdi. Poi d’un tratto, come se qualcuno nell’alto dei cieli avesse deciso che era ora di passare dal fuoco lento ai fuochi dell’apocalisse, iniziò lo show.
L’aurora diventava ogni istante più intensa, il verde diventava bianco, il bianco fucsia. Ai nostri occhi era una regina che con il suo trono occupava una buona metà del cielo, scatenandosi davanti a noi, sopra di noi, e alle nostre spalle. Come se qualcuno scuotesse nel cielo un enorme lenzuolo di luce. Intorno a me la gente si lasciava andare a tutta la gamma di suoni di stupore che l’essere umano conosce. “oooh” “woooow” “uuuuuh” “…..”. Sì, c’era anche chi non aveva parole. E c’era chi urlava. C’era chi piangeva. Chi si agitava. Forse qualcuno aveva anche paura che quell’apocalisse celeste scendesse sulla Terra. DI certo spettacoli di questo tipo rendono conto delle decine di leggende che circolavano in tempi antichi sulla vera natura di questo fenomeno, e sul valore esoterico che tutte le antiche popolazioni nordiche le avevano attribuito (guardat il video “ever seen the Northern Lights” per capire a cosa mi riferisco)
Dal canto mio, posso dire una cosa: nei miei numerosi viaggi invernali nel Nord Europa, a caccia di Aurore Boreali, mai avevo assistito a uno spettacolo simile, se non forse una notte in Norvegia. Ma quella notte mi trovavo su un prato piuttosto anonimo, mentre oggi ero di fronte a uno dei luoghi più belli d’Islanda, se non del mondo intero. Per un fotografo, un sogno che si avvera, e se esiste la legge del contrappasso, forse la dimostrazione che hai fatto qualcosa di buono, da qualche parte nella tua vita, per meritare una giornata come questa. Forse ce lo siamo meritato per aver aiutato due macchine a uscire dalla neve invece di tirare dritto e fregarsene, chi può dirlo?
Restano in ogni caso negli occhi e nel cuore le immagini di uno spettacolo che trascende le regole della bellezza terrena, e che proietta lo spirito in una dimensione troppo spesso a noi ignota, dove non esistono parole, ma soltanto sogni.
Rientriamo al nostro ostello increduli, felici, ma anche con quel velo di tristezza Leopardiano tipico della fine di una festa, dove lentamente inizia a prenderti quel briciolo di malinconia perché “chissà quando mai rivedrò una cosa così bella”.
E’ ormai quasi l’una. I miei compagni di viaggio sono già a dormire, esausti. Nell’area comune della Skyrhusid Guetshouse, accanto a me ci sono tre fotografi tedeschi, con cui si stringe amicizia sia perché parlo tedesco, ma soprattutto perché entrambi abbiamo davanti agli occhi il nostro laptop, sul cui schermo scorrono forse le fotografie più belle che sia io che loro avessimo mai avuto la fortuna di scattare…perché la fotografia, come l’amore, presuppone un pizzico di fortuna, non è mai tutto nelle tue mani.
Ci mostriamo le nostre rispettive immagini. Nessuno dice niente, se non un soffocato “Wunderbar”, meraviglioso o “Unglaublich”, incredibile. I nostri sguardi lucidi dicono più di tutte le lingue del mondo messe insieme. Mi offrono del Whiskey,accetto volentieri.
E allora Cin Cin, anzi “Prost”…a una giornata divina.
Dove ogni cosa è stata illuminata, dal sole, dal ghiaccio, dal cielo roseo, dalla luna e dall’aurora.
Dove ogni istante ci ha ricordato l’infinita meraviglia dell’universo.