La capitale polacca divisa tra passato e futuro, le sue leggende, la sua musica e la sua aria romantica
Quale miglior modo per entrare a Varsavia, se non su un treno che porta il nome del musicista polacco più famoso di sempre, Frederic Chopin. Io adoro Chopin. E in generale anche Varsavia mi è sempre stata simpatica, dopotutto è una città a cui sono indirettamente molto legato per questioni famigliari. Ero già stato qui nel 2010, per un matrimonio. Ed è con piacere che ci torno oggi lungo la mia via per Pechino. In teoria la via più breve sarebbe stato passare da Budapest e Kiev, ma la recente situazione politiconi ucraina ci ha suggerito questa deviazione, peraltro apprezzatissima.
Varsavia è una città che fin dal primo sguardo, sembra avere due anime. Un’anima antica e un‘anima moderna. Ma non nel senso che ci sono cose vecchie e cose nuove. Quello c’è in ogni città. Intendo proprio due diversi spiriti che si confrontano, il passato e il futuro. Nel secolo scorso questa città ha vissuto pagine di storia molto pesanti, che si sentono tutt’ora per le sue strade. Scopriamo che a due passi dal nostro ostello, nascostissimo nel cortile di un palazzo, si trova l’ultimo pezzo rimasto in piedi del muro del famigerato ghetto di Varsavia.
Dietro queste mura, la storia dell’olocausto ha visto alcune dei suoi momenti più bui. Oltre 500.000 ebrei vennero stipati all’interno del ghetto, di cui 100.000 morti di stenti nei primi mesi. 350.000 deportati al campo di sterminio di Treblinka negli anni successivi, fino allo scoppio della rivolta, placata con le bombe incendiarie che rasero al suolo il ghetto.
Oggi resta solo questo piccolo pezzo di muro, una piccola porzione di percorso segnata sull’asfalto, (un po’ come han fatto con il muro di Berlino) la sinagoga e un monumento agli eroi della suddetta rivolta.
Il centro di Varsavia, ossia la città vecchia, è davvero un gioiello. La piazza del mercato e quella del castello hanno un’aria davvero romantica, e a volte sembra che le carrozze trainate dai cavalli non siano attrazioni turistiche, ma che facciano parte della normale vita del centro.
Sono belle le facciate delle case, i tetti. C’è una bella atmosfera. Nella piazza del mercato si trova la statua della sirena, da sempre il simbolo della città. La leggenda vuole che un sirena abbia risalito il fiume Vistola per poi stabilirsi nella zona di Varsavia, ammaliando col suo canto i pescatori. Un mercante la rapì per metterla in una gabbia da mostrare ai turisti e farsi un sacco di soldi, ma i pescatori la liberarono e lei in segno di riconoscenza, disse che ogni volta che la città si fosse trovata in difficoltà, lei sarebbe venuta in loro soccorso. Addirittura pare che il nome stesso di Varsavia sia l’unione di War, il pescatore che avvistò la sirena, e Saw, la sirena. Certo, verrebbe spontaneo chiedersi dove fosse la Sirena, ad esempio, i primi giorni di settembre del ’39, ma questa è un’altra storia.
Nel frattempo si è fatta sera, e rientriamo verso il nostro ostello/appartamento decadente passando davanti al palazzo della cultura, il simbolo moderno della città, senza nulla togliere alla sirena. Si tratta di un palazzo altissimo, dono dell’Unione Sovietica ai tempi del comunismo, costruito da operai russi e simbolo dell’ideologia che ha governato questa parte di mondo nella seconda metà del 900. Oggi al suo fianco si ergono altissimi e luccicanti grattacieli a specchio, simili a quelli che si possono vedere nelle città americane. Ospitano hotel, banche, centri commerciali. Vedere questi giganti insieme a questo palazzone sovietico, è un po’ come vedere una versione architettonica della guerra fredda, o più realisticamente l’immagine del capitalismo che si impadronisce di questa parte di europa dell’est. Sono le due anime di Varsavia, un po’ nostalgica, un po’ arrembante.
Oltre alla città vecchia, ciò che merita davvero una visita, a Varsavia, è il parco Lazienski. E’ un’oasi di bellezza verde e pace interiore, dove tra le altre cose c’è il posto che io preferisco in tutta la città: il parco con la statua di Chopin, circondato da rose piantate periodicamente di colori diversi. 5 anni fa erano rosse, oggi sono bianche.
Ogni domenica portano qui un pianoforte a coda, e si fanno concerti all’aperto per le persone sedute nel parco e nelle panchine circostanti. Per me una visita a questo parco ha quasi il sapore di un pellegrinaggio, tanto amo la musica di questo straordinario compositore. Ma oltre a questo, il parco è tutto da esplorare, specialmente nelle giornate estive dove l’ombra degli alberi è un vero toccasana. E’ bello passeggiare tra i laghi e i pavoni, tra gli scoiattoli e le fronde degli alberi, scoprendo gli eleganti palazzi che si ergono al suo interno fino ad arrivare al palazzo Belvedere, residenza del presidente polacco.
La nostra visita di Varsavia finisce qui, perché alle 16.10 alla stazione Centralna ci aspetta il treno per Mosca.
Per una curiosa coincidenza, il nome del treno è “Polonaise”, dal nome delle composizioni che Chopin dedicò al suo paese.
Quanto era bravo, Chopin.